Il concorso internazionale per microracconti Lina Patanè, organizzato in collaborazione con l’associazione Girotondo di Madrid, si pone l’obiettivo di valorizzare la scrittura femminile, la lettura e l’incontro. È aperto a tutte le donne col fine di incentivare l’espressione scritta nella forma del racconto. A partire dal 13 novembre 2019 e fino al 25 novembre 2019, le partecipanti potranno inviare un microracconto inedito (in lingua italiana o spagnola) di massimo 3.500 battute (spazi inclusi), alla mail info@compagniab.com, con oggetto: “Concorso per microracconti Lina Patanè”. La vincitrice sarà annunciata durante una delle serate del Festival, in data sabato 7 dicembre, con la consegna di un premio in denaro di 200 euro messo a disposizione dalla famiglia Patané. A Madrid, negli spazi dell’associazione Girotondo, verrà distribuito l’elaborato della finalista, in lingua italiana e spagnola, ai fini della promozione della lettura e del Festival. ll concorso è ispirato alla figura della donna: una donna normale “Lina”, non una scrittrice e neanche una donna dal ruolo sociale importante, avida lettrice e donna consapevole, attenta alle iniquità sociali e culturali, che sosteneva che saper scrivere, e scrivere bene, è una grande conquista, un potente mezzo verso l’autonomia delle bambine e delle ragazze in una realtà maschilista.
Edizione 2019. Prima classificata: Elisabetta Spanu
Memoria di quattro generazioni per bene
Lottavo coi miei stessi occhi ma non potevo cadere addormentata.
Dovevo stare vigile, concentrarmi e arrivare a destinazione. Solo a quel punto avrei avuto tutto il tempo di riposare e di sognare, ma ora dovevo andare, bruciare spazi senza possibilità di scelta. Toccava a me salvare la mia famiglia. Che responsabilità, chissà perché proprio io?!
Pensavo a mia madre, a mia nonna e a mia bisnonna, avevano faticato tanto perché potessi intraprendere il viaggio. Senza di loro sarebbe stato impossibile: mi avevano donato forza e leggerezza, e una memoria longeva.
“Sarà solo il tempo di un battito d’ali e sarai dall’altra parte del confine”.
Mancavano ancora tanti chilometri per quel confine, e noi eravamo troppe. Ci muovevamo in massa, accalcate, stanche.
Mi si chiudevano gli occhi e li sbattevo, cercavo di ricordare per non dormire. Rivedevo mia bisnonna che aveva cominciato quel lungo viaggio, quando eravamo ancora al sud ed io ero solo una promessa. E poi mia nonna e mia mamma che si erano spostate sempre più a nord, confidando in me, colei che non avrebbe perso la rotta, che sarebbe arrivata a destinazione. La memoria di un lungo viaggio incisa nei geni.
Quattro generazioni per bene nel tempo di una migrazione.
Ora vedevo il confine, quel confine doloroso tra Messico e Stati Uniti e mi sembrava di perdere la rotta. Pesante e senza leggerezza temevo di perdere l’equilibrio da un momento all’altro e di essere calpestata, di sfracellarmi contro quel muro d’odio. Guardavo le mie compagne di viaggio: non ce l’avremmo mai fatta. In tante, prima di me, non erano arrivate.
Ho guardato il sole, pensando che fosse l’ultima volta, nella speranza che nessuno mi notasse. Invisibile. E proprio nel momento in cui ho pensato che mai ce l’avrei fatta e che sarei morta tradendo la mia memoria, un sestante ancestrale mi ha guidato verso uno spazio più libero, verso sud. C’era un varco, l’ho attraversato…
… sentivo voci e canti in lontananza e, finalmente, li ho visti: ballavano tutti, anche gli anziani, ballavano i pescatori con le torce sui battelli e non si capiva più chi fosse vivo e chi fosse morto, tutti uniti in una gioia di vivere, con la cara morte che ricordava la pienezza dell’esistenza e l’importanza di ritrovarne il senso.
Ero arrivata in Michoacán, proprio il due di novembre, quando tutti i messicani aspettavano gli spiriti dei loro cari sulle ali delle farfalle. Io ero una di quelle, una della quarta generazione: una farfalla Monarca che aveva compiuto il viaggio al contrario, una di quelle farfalle di cui non si conosce neppure l’esistenza… e la disperata fatica di migrare. Cinquemila chilometri dal Canada al Messico, due mesi di volo per rientrare a destinazione.
La memoria di quattro generazioni di migranti ancora intatta. Non l’avevo persa. Mi aveva tenuto in equilibrio.
Il Santuario mi aspettava, avrei potuto riposare in pace e rendere omaggio a tutte quelle morti sul confine. Farfalle sfracellatesi inutilmente contro un muro d’odio.